Ultimo aggiornamento: Mercoledì, 21 Maggio, 2008 0:51
MILAN KUNDERA
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Ottobre 1983
Intervista con Milan Kundera
di Christian Salmon
Questa intervista ? il frutto di vari incontri con Milan Kundera a Parigi nellOautunno del 1983. Incontri che hanno avuto luogo nel suo attico vicino Montparnasse. Abbiamo lavorato nella piccola stanza che Kundera usa come ufficio. Con gli scaffali pieni di libri di filosofia e di musicologia, la sua vecchia macchina da scrivere e la scrivania, sembra pi? la stanza di uno studente che lo studio di uno scrittore famoso in tutto il mondo.
Su una delle pareti ci sono, una accanto allOaltra, due fotografie: una del padre, un pianista, e lOaltra di Leos Jan?o?Ncek, un compositore ceco che ammira moltissimo.
Abbiamo conversato,
spontaneamente e a lungo in francese; invece di un registratore, abbiamo usato la macchina da scrivere, un paio di forbici e la colla. Piano piano, tra pezzi di carta scartati e dopo svariate revisioni, ? emerso questo testo. LOintervista si ? svolta poco dopo che LOinsostenibile leggerezza dellOessere ? diventato un best-seller immediato. La fama improvvisa lo mette a disagio; Kundera sarebbe sicuramente dOaccordo con Malcolm Lowry che Cil successo ? come un terribile disastro, peggio che se la propria casa andasse a fuoco. La fama consuma la casa dellOanimaE`. Quando gli ho chiesto informazioni sui commenti che stavano comparendo sulla stampa mi ha risposto: O`Ho avuto unOoverdose di me stesso!O?L. Il desiderio di Kundera di non parlare di s? sembra una reazione istintiva alla tendenza della maggior parte dei critici a studiare lo scrittore, la sua personalit?O, le sue tendenze politiche e la sua vita privata piuttosto che le sue opere. CIl disgusto nel dover «parlare di se stessi ? ci? che distingue i romanzieri dai poeti», ha scritto Milan Kundera su CLe Nouvel ObservateurE`. Rifiutarsi di parlare di se stesso ? quindi un modo di mettere il proprio lavoro e il proprio stile al centro dellOattenzione, di concentrarsi sul romanzo in s?. e?L questo lo scopo della nostra conversazione sullOarte della scrittura. Ha detto che si sente pi? vicino ai romanzieri viennesi Robert Musil e Hermann Broch che a qualsiasi altro autore di letteratura moderna.
Broch sosteneva come lei che lOepoca del romanzo psicologico ? finita. Credeva, invece, in ci? che chiamava il romanzo O`polistoricoO?L. Musil e Broch hanno caricato il romanzo di grandi responsabilit?O. Lo vedevano come la suprema sintesi intellettuale, lOultima postazione da cui lOuomo poteva mettere in questione il mondo intero. Erano convinti che il romanzo avesse enormi propriet?O sintetiche, che potesse essere un insieme di
poesia, fantasia, filosofia, aforisma e saggio. Nelle sue lettere Broch fa delle profonde osservazioni su questo tema.
Nonostante ci?, mi sembra che oscuri le sue intenzioni usando il termine O`romanzo polistoricoO?L, che secondo me non ? appropriato. Fu infatti un compatriota di Broch, Adalbert Stifter, uno scrittore austriaco classico, a creare il vero romanzo polistorico con il suo Der Nachsommer (LOestate di san Martino), pubblicato nel 1857. e?L un romanzo famoso: Nietzsche lo considerava uno dei quattro capolavori della letteratura tedesca. Oggi ? illeggibile. e?L imbottito di informazioni geologiche, botaniche, zoologiche, artistiche, pittoriche e architettoniche; ma questOenorme enciclopedia trascura quasi completamente lOuomo stesso e la sua situazione. Proprio perch? ? polistorica, a Der Nachsommer manca proprio ci? che rende speciale un romanzo. Nel caso di Broch non ? cos?g. Al contrario! Si ? sforzato di scoprire Cci? che solo il romanzo pu? scoprireE`. LOoggetto specifico di ci? che Broch amava chiamare O`la conoscenza romanzescaO?L ? lOesistenza. Secondo me il termine O`polistoricoO?L devOessere definito come ci? che unisce ogni strumento e ogni forma di conoscenza in modo da illuminare lOesistenza. S?g, mi sento molto vicino a questo approccio. Un lungo saggio che lei ha pubblicato sulla rivista CLe Nouvelle ObservateurE` ha fatto s?g che i francesi riscoprissero Broch. Parla molto bene di lui, ma ? anche estremamente critico. Alla fine del saggio scrive: CTutte le grandi opere (proprio perch? sono grandi) sono in parte incompleteE`. Broch ? unOispirazione non solo per quello che ha raggiunto, ma anche per tutto quello a cui aspirava e che non ha potuto ottenere. LOincompletezza stessa della sua opera ci aiuta a capire la necessit?O di nuove modalit?O artistiche, fra cui: 1) lOeliminazione radicale dellOinessenziale, per catturare la complessit?O dellOesistenza nel mondo moderno senza perdere di vista la chiarezza architettonica; 2) il O`contrappunto romanzescoO?L (per unire filosofia, narrativa e sogno in unOunica melodia); 3) il saggio specificatamente romanzesco (in altre parole, invece di cercare di trasmettere messaggi apodittici, rimanere ipotetici, giocosi e ironici). Questi tre punti sembrano contenere il suo intero programma artistico. Per trasformare un romanzo in unOilluminazione polistorica dellOesistenza bisogna saper usare bene la tecnica dellOellissi, lOarte della condensazione. Altrimenti si rischia di cadere nella trappola della lunghezza infinita. LOuomo senza qualit?O di Musil ? uno dei due o tre romanzi che preferisco. Ma non chiedetemi di ammirare la sua espansione gigantesca e incompleta! Immaginate un castello talmente grande da non poter essere contenuto in uno sguardo. Immaginate un quartetto dOarchi che suona per nove ore. Ci sono dei limiti antropologici le proporzioni umane che non dovrebbero essere oltrepassati, per esem- pio i limiti della memoria. Quando si finisce di leggere un libro, bisognerebbe essere in grado di ricordarne lOinizio. Se non ? cos?g, il romanzo perde la sua forma, la sua O`chiarezza architettonicaO?L diventa oscura. Il libro del riso e dellOoblio ? composto di sette parti. Se lei le avesse affrontate in maniera meno ellittica avrebbe scritto sette romanzi distinti. Ma se avessi scritto sette romanzi avrei perso la cosa pi? importante: non sarei stato capace di catturare la O`complessit?O dellOesistenza umana nel mondo modernoO?L in un solo libro. LOarte dellOellissi ? assolutamente essenziale. Richiede che si vada direttamente al nocciolo delle cose. Quando parlo di questo penso sempre a un compositore ceco che ammiro moltissimo sin dallOinfanzia: Leos Jan?o?Ncek. e?L uno dei grandi maestri della musica moderna. La sua determinazione nel ridurre la musica allOessenziale fu rivoluzionaria. Ovviamente ogni composizione comprende varie tecniche: lOesposizione dei temi, il loro sviluppo, le loro variazioni, il lavoro polifonico (spesso molto automatico), lOorchestrazione, le modulazioni, e cos?g via. Al giorno dOoggi si pu? comporre musica con il computer, ma il computer ? sempre esistito nelle menti dei compositori: potevano comporre una sonata senza nessuna idea originale, solo attraverso lOespansione O`ciberneticaO?L delle regole della composizione. Lo scopo di Jan?o?Ncek fu proprio distruggere quel computer! La brutale giustapposizione invece delle modulazioni; le ripetizioni invece delle variazioni e sempre dritto al nocciolo delle cose: solo la nota che dice qualcosa di essenziale ha il diritto di esistere. Lo stesso vale per il romanzo: anchOesso comprende varie O`tecnicheO?L, le regole che scrivono lOopera al posto dellOautore: presentare un personaggio, descrivere un luogo, inserire lOazione in un contesto storico, riempire di eventi inutili le vite dei personaggi. Ogni cambio di scena richiede nuove esposizioni, descrizioni, spiegazioni. Il mio obiettivo ? analogo a quello di Jan?o?Ncek: liberare
il romanzo dagli automatismi delle tecniche di scrittura, dei giri di parole romanzeschi.